mercoledì, gennaio 11, 2006

Il segreto di Vera Drake.



Film delicato, godibilissimo e in controtendenza rispetto ai consueti temi e caratteristiche del cinema attuale. Si tratta di una storia ambientata nell'Inghilterra del dopoguerra e fonda soprattutto sui sentimenti, facendo appello alla sensibilità e alla coscienza dello spettatore nel descrivere la vita quotidiana di Vera Drake: una signora sinceramente dedita all'aiuto verso gli altri, al sostegno delle persone in difficoltà, alla semplicità, all'amore per la sua famiglia unita e generosa. Tuttavia il desiderio di essere d'aiuto di questa donna entra in una sfera molto delicata: quella delle interruzioni di gravidanza. Si, Vera 'aiuta le ragazze in difficoltà': pensa di far bene e non chiede compensi (anche se, a sua insaputa, c'è chi li intasca per lei). Agisce in segreto, anche rispetto alla sua famiglia, con compassione e con discrezione, fino al momento in cui incappa nel meccanismo della giustizia, che certamente tollera gli escamotage legali dei medici e dei potenti per aggirare i vincoli posti dalla Legge (possibili, però, soltanto a chi dispone di buone possibilità economiche), ma non può permettere - anche a ragione - l'intervento di una mammana, sia pure gentile e sensibile come Vera. Quest'ultima, in realtà, dopo più di vent'anni di attività clandestina, nel momento in cui viene arrestata prende di colpo coscienza della sua ingenuità e avventatezza - che agli occhi del mondo e della giustizia non possono essere valide attenuanti. Vera Drake si viene a trovare nella paradossale situazione di essere contemporaneamente innocente a causa del suo buon cuore e della sua reale purezza d'animo, e colpevole per la Legge e per la logica morale e sociale.
Alcuni degli scopi del film sono probabilmente politici, nel senso positivo del termine, pur prevalendo in esso il proposito di una attenta e sensibile osservazione dell'umanità di coloro che sono implicati nella vicenda. Personalmente intravvedo nel racconto la descrizione di una dicotomia, di uno scontro sempre presente e attuale nelle nostre vite: quello fra le ragioni del cuore e della mente. Credo che il livello di questo conflitto sia piuttosto profondo e atavico, tale da configurarsi come l'opposizione fra la primordiale mentalità matriarcale - delle dee madri, grembo e tomba, depositarie della vita e della morte, e la cultura patriarcale, tendente al predominio del Logos e della Legge di un Dio Padre ordinatore, detentore assoluto e geloso della conoscenza del bene e del male. Nel primo caso abbiamo la natura, il sentimento, il cuore e la vita-morte percepiti come un tutto unico, senza concrete separazioni; nel secondo la mente, la ragione e l'azione divengono parametro di responsabilità, di giustizia, di ordinamento dell'uomo sull'uomo che, se talvolta si risolve in rispetto del diritto, talaltra impone una adesione formale alla sola lettera della norma incoraggiandone contemporaneamente la violazione nell'unica maniera ritenuta possibile: quella velata e nascosta dell'ipocrisia.

lunedì, gennaio 09, 2006

Danny the dog.


Questo film potrebbe, ad un primo livello di analisi, il più semplice e riduttivo, interpretarsi secondo il suo tema edipico di fondo: il conflitto con la figura paterna negativa, quella che impedisce lo sviluppo. Tale figura è incarnata dallo ‘zio’ Bart, gangster che tiene Danny fermo allo stadio animale-infantile, utilizzandolo soltanto come killer esperto di arti marziali – cioè solo per la sua potenzialità aggressiva, come fosse un pit-bull. Danny ha nozioni e sviluppo conoscitivo più che rudimentali, limitandosi all’accettazione di quanto gli viene ordinato e all’osservazione attonita di un abbecedario per bambini. D’altra parte quello infantile è lo stadio dello sviluppo psichico cui è relegato dal padre-padrone, che ne accentua in tal modo la dipendenza e la totale subordinazione. Il suo riscatto comincia dall’incontro con Sam, il personaggio interpretato da Morgan Freeman, un non-vedente che ripara pianoforti e che incarna l’altra valenza della figura paterna: quella che incoraggia e sostiene, il maestro spirituale, il vecchio saggio, cieco perché ha sperimentato il dolore e – elaborandolo con saggezza e profonda comprensione – è in grado di vedere oltre, nell’animo. Anche la figura femminile – qui rappresentata dalla figlia adottiva di Morgan Freeman, Victoria (!) - esce gradualmente dall’anonimato, dall’oggettualità cui la relega lo zio Bart, e si rivela portatrice di personalità, affetti, sensibilità, spirito artistico, evoluzione. Gradualmente, anzi, viene ad identificarsi sempre di più con la musica, con il pianoforte, con l’Anima, risvegliando in Danny il ricordo di sua madre la cui figura, ormai inutilmente, lo zio Bart – dopo averla uccisa molti anni prima – ha cercato di cancellare dalla mente di Danny bambino, e poi di svilire. Danny, guidato dal ‘vecchio saggio’ Sam e riappropriandosi del femminile nei suoi aspetti di sposa e di madre, trova in sé decisione, indipendenza, e sconfigge definitivamente il padre-autoritario, non tanto con la violenza e con l’uccisione (strumenti del maschile negativo), quanto con la decisione, la visione, l’affrancamento. Il complesso edipico, dunque, è ben delineato nel film – l’uccisione del padre e la conquista della madre – ma ad un livello di cultura superiore, dove la sconfitta del padre castrante avviene non per una mera contrapposizione sullo stesso piano del potere aggressivo, bensì mediante l’evoluzione della coscienza, della sensibilità dell’individuo e della sua autonomia.