lunedì, dicembre 18, 2006

Water.


Ragazzi, che film! A volte capita, quasi per caso, di imbattersi in un grande, direi grandissimo film, com'è avvenuto a me in una videoteca qualche giorno fa. Quasi non vorrei scriverne per timore di banalizzare o 'profanare' una pellicola che certamente gode di una sua sacralità dal punto di vista della forza dei contenuti, della bellezza delle immagini, della splendida fattura. Il tema è rivoluzionario, di denuncia, e la regista Deepa Metha ha dovuto affrontare non pochi ostacoli in India per girare la pellicola - al punto che è dovuta riparare nello Sri Lanka: si parla della condizione tradizionale delle vedove in India, e dell'energia innovativa - di liberazione delle coscienze - ad opera del Mahatma Gandhi nel 1938. Le donne maritate, questo è il concetto, sono talmente legate al destino del marito che - in caso di morte di quest'ultimo - hanno delle prospettive tremende, tutte di annientamento totale della loro personalità e individualità: possono morire sulla pira funebre dello sposo, possono rimaritarsi esclusivamente con il fratello più giovane del consorte, possono rinchiudersi in un ashram di vedove a condurre una vita di castità, privazioni e di preghiera, almeno in apparenza, perché in alcuni casi - per sopravvivere - devono prostituirsi in maniera segreta, non apertamente dichiarata, con il beneplacito dei bramini e della cultura dominante. Anzi, i bramini, essendo la casta più elevata, possono andare a letto con le vedove (rendendole così prostitute) pretendendo di "benedirle" con la loro "santità"! Tutto ciò avviene anche se la vedova in questione è una bambina piccola, come la protagonista di 8 anni, già maritata per questioni di accordi fra famiglie. La situazione descritta nel film è ambientata all'epoca di Ghandi ma, ci informa la stessa pellicola, ancora oggi non è molto differente: 34 milioni di vedove vivono all'incirca nelle stesse condizioni. Dal punto di vista simbolico l'Acqua, onnipresente in quest'opera, sia nel titolo, che nel fiume, che nella pioggia, che nelle donne protagoniste (donna=acqua), credo indichi l'indispensabile purificazione, il necessario lavacro delle coscienze: l'acqua è la fede che, però, non può rimanere stagnante e imputridire. La fede ha bisogno di "verità", può perfino identificarsi in essa, come dice Gandhi alla fine del film: "Prima credevo che Dio fosse la Verità, ora so che la Verità è Dio". Una fede chiarificata, pulita e purificante è il vero Gange che trascina via l'oscurità, i limiti, le macchie dell'anima. E' come il treno di Gandhi che, in conclusione, continua il suo viaggio di rinnovamento, e salva la piccola "vedova" riconducendola verso una nuova vita.