giovedì, novembre 22, 2007

In memoria di me.




Film intenso sull'esperienza del seminario cattolico gesuita: un giovane uomo di successo decide di cambiare vita e diventare sacerdote per trovare sé stesso, per rinnovare la sua visione della vita. In ritiro spirituale con gli altri seminaristi incontrerà diversi aspetti della sua e altrui crescita, si scontrerà col dubbio, vedrà un suo compagno abbandonare i propri tormentati propositi e ritornare nel mondo. Un altro compagno farà la stessa cosa, ma motivato dall'amore, dal desiderio di aprire, di non seguire delle verità "morte" e codificate, ma dinamiche e in rapporto con il movimento della vita. Tuttavia il racconto analizza e giustifica pienamente anche la scelta della clausura, della dedizione al ruolo sacerdotale, del silenzio e della disciplina. Si pensa, alla fine del film, al Narciso e Boccadoro di Hermann Hesse, ma non solo e non del tutto.
L'osservazione che mi viene più spontanea è la seguente: siamo proprio sicuri che la via dell'ascesi spirituale, della ricerca interiore, e quella del "mondo" o dell'impegno in esso - magari di tipo altruistico ed eticamente motivato - siano due vie differenti, separate e mai del tutto conciliabili? Siamo proprio sicuri, inoltre, che l'interiorità debba essere così difficile, così sofferente e problematica? Come praticante del Sutra del Loto e del buddismo di Nichiren Daishonin - fermo restando il rispetto per qualsiasi altro approccio alla dimensione spirituale dell'esistenza - ho l'impressione che lo scopo primario della vita umana sia la felicità per sé stessi e per gli altri, proprio a partire da questo piano di esistenza, qui ed ora. Direi anche che l'impegno quotidiano nelle proprie vicende esistenziali, nei rapporti con gli altri, con l'ambiente e la società, con il tutto, con i normali accadimenti dolorosi o piacevoli, sia in sé - se sostenuti dalla pratica interiore - una forma di ascesi, di crescita, di esercizio spirituale, di adesione al piano divino, forse la più alta. La pratica autoconoscitiva portata avanti nel mondo è il catalizzatore per trasmutare le esperienze e le difficoltà comuni in occasioni di crescita spirituale.
Il film sollecita queste ed altre riflessioni, e potrebbe essere il punto di partenza per uno stimolante dibattito.
Una curiosità interessante: gli attori si sono preparati al loro lavoro trascorrendo una settimana nel silenzio e sottoponendosi agli esercizi spirituali di S. Ignazio di Loyola, al fine di sperimentare direttamente un ritiro presso un centro cattolico di preghiera e meditazione.

mercoledì, gennaio 31, 2007

Parole d'amore (Bee Season).


Segnalo un film curioso e raro nella sua tematica, che riveste sicuramente interesse per chi ha conoscenze di Cabala e di ebraismo. La storia, in realtà, può essere letta a più livelli, il più letterale ed "esterno" dei quali è la vicenda di una crisi familiare, di un padre che - pur con le migliori intenzioni - si rivela intellettualmente accentratore e poco attento ai bisogni reali della moglie e dei figli. I livelli più "interiori" possono essere quello, diciamo, filosofico - le concettualizzazioni ebraiche della rottura dei vasi e della restaurazione (tikkun), e quello intensamente mistico ed esperienziale della bambina, la protagonista, che penetra in profondità lo spirito cabalistico delle lettere, delle parole, e comunica con la Shekinah - la Presenza divina. Un cabalista può ritrovare nel film molti spunti interpretativi. Per esempio i quattro componenti della famiglia potrebbero essere messi in relazione con i quattro piani dell'Albero della Vita: Saul, il padre (Richard Gere) ben si adatta all'accostamento con il piano briahtico della mente; Miriam, la madre (Juliette Binoche) cerca disperatamente la ricomposizione della rottura dei vasi sul piano yetzirahtico del sentimento; Aaron, il figlio, cerca anche lui Dio attraverso percorsi alternativi e in contrapposizione con il padre, e può ben associarsi al piano assiahnico della sperimentazione, dell'esperienza concreta; infine Eliza, la più meditativa, sinceramente aperta all'Ulteriore, è in relazione con Atziluth, la Coscienza, il Mondo Archetipico. Eliza compie alla fine del racconto cinematografico l'unico atto che può ricomporre realmente ciò che si sta disgregando: un atto di profonda umiltà, di Amore, di sacrificio di sé, rinunciando ad una vittoria esteriore e superficiale per una più sostanziale. Sempre in senso cabalistico si potrebbero analizzare i nomi dei personaggi, dei luoghi, e alcuni altri particolari importanti - come la sostituzione finale di una "I" con una "Y" per trovare la reintegrazione, però mi fermo qui per lasciare il piacere della scoperta e dell'eventuale speculazione interpretativa a chi il film intende vederlo...

venerdì, gennaio 12, 2007

Apocalypto.


Ebbene, sì... L'ho visto. Le analogie con la Passione di Cristo dello stesso Mel Gibson ci sono, soprattutto relativamente a quello che può considerarsi il leit-motiv di ambedue i film: l'incredibile, efferata, assurda violenza dell'uomo sull'uomo. Non possiamo certamente negare che l'umanità abbia in sé questa carica distruttiva, questa sorta di odio feroce: ne abbiamo testimonianza dalle epoche passate, ma anche nella cronaca attuale. Potremmo semmai discutere - e qualcuno lo sta già facendo, così com'è avvenuto per la Passione - se sia il caso di indugiare in un film su certi aspetti, se sia necessario farli vedere con spietata chiarezza come ha preso a fare Gibson. Qualcuno discute anche sul carattere del regista, sul suo comportamento privato, sulle sue opinioni politiche. Certo si può affermare che la crudezza della violenza, della guerra, della tortura, esiste e, dunque, perché non mostrarla: immagini del genere potrebbero rappresentare una presa di coscienza e un deterrente. Qualcun altro, al contrario, potrà osservare che invece daranno luogo ad una assuefazione che già ora ci rende quasi insensibili. Mah, francamente una risposta certa non ce l'ho, al di là della mia convinzione che una pellicola cinematografica non possa cambiare più di tanto la coscienza delle persone... Il film comunque è abbastanza godibile - è un prodotto che per certi versi risulta interessante al pari di tante altre opere del cinema di azione, di avventura o simili - tenendo conto del fatto che propone anche una ricostruzione storica che sembra piuttosto accurata e precisa nelle ambientazioni, nei costumi e via dicendo, tentando perfino (com'era stato per la "Passione di Cristo") di far entrare lo spettatore nel linguaggio, nel suono della lingua di certe popolazioni. Bene, però un dubbio ce l'ho, ed è relativo all'effettiva comprensione che oggi possiamo avere delle culture umane che ci hanno preceduto. In questo film, in fondo, i Maya fanno una pessima figura: un popolo sanguinario, peggiore dei nazisti, dedito ai sacrifici umani per motivazioni religiose cui, sembra di capire, nemmeno gli stessi sacerdoti credevano veramente. L'impressione è che il degrado, l'abbrutimento, la barbarie, la violenza, fossero gli elementi pricipali presenti nel cuore e nella mente dei costruttori delle piramidi del Centro America. Eppure essi avevano edificato una civiltà molto evoluta, forte di conoscenze astronomiche accuratissime, di grandi capacità tecniche, di elaborazioni religiose molto complesse e avanzate. E' davvero possibile che, sia pure in un periodo di decadenza, non fosse rimasto nulla di ciò? Siamo davvero sicuri che i famigerati "sacrifici umani" al Dio Sole fossero quelli presentati nel film, e non fossero piuttosto simbolici e non concreti, come in altre culture forse più vicine a noi, dove nei rituali misterici la morte dell'io è la metafora della trasformazione, dell'abbandono di una visione limitata, dell'apertura ad una nuova coscienza. Io non so se sia proprio così, ma ho l'impressione che a volte noi occidentali "moderni" abbiamo l'idea che la nostra sia l'unica civiltà della storia fondata su valori sinceramente umanistici. Forse sbaglierò, ma ho forti dubbi in proposito. In fondo anche Gibson, alla fine del film, dimostra uno scarso apprezzamento della nostra civiltà occidentale, facendo un accenno ad essa attraverso gli spagnoli e il loro sbarco in territorio Maya - che sappiamo apportatore di altri massacri e crudeltà. Il regista, come il protagonista del racconto filmico, vorrebbe un nuovo inizio, il recupero di valori semplici, umani, quali quelli mostrati dalla famigliola di indigeni in fuga: probabilmente egli vuole indicare con questo episodio ambientato in un'epoca passata l'Apocalisse dei nostri giorni, quella che sembra di poter riscontrare nell'epoca attuale, e il desiderio di recuperare un potenziale di umanità che sembra perdersi ogni giorno di più. Non possiamo che condividere questo desiderio e, in questo, possiamo anche essere in sintonia con Mel Gibson. Rimane tuttavia, lo ripeto, l'impressione che a volte esageriamo nella proiezione della nostra cultura e della nostra mentalità su altre culture, attribuendole ad uomini del passato che, invece, potevano avere conoscenze e sensibilità molto diverse e persino più evolute delle nostre...