martedì, luglio 28, 2009

Il bambino con il pigiama a righe


Siamo abituati, direi quasi assuefatti, ai film sul nazismo - e questo di cui scrivo ne è l'ennesima versione. Tuttavia, secondo me, ha delle caratteristiche diverse dal solito e particolari. Si tratta di un racconto delle atrocità commesse, della folle ideologia dell'uomo contro l'uomo, del considerare gli altri meno che persone, visto attraverso gli occhi di due bambini. Uno, il protagonista, Bruno, è il figlio di un ufficiale che va a dirigere un campo di sterminio. L'altro bambino, Shmuel, è una delle non-persone rinchiusa nel campo stesso. Nessuno dei due comprende pienamente quello che sta succedendo ma, al di là del principio di astrazione che porta gli adulti a considerare gli altri come "il nemico", fra di loro nasce e si consolida un'amicizia clandestina, al di qua e al di là del filo spinato. Tale amicizia condurrà gradualmente ad un epilogo tragico, monito e insegnamento per tutti quanti amino ragionare per categorie dividendo fra "buoni" e "cattivi", "superiori" e "inferiori". Devo dire comunque che, oltre alla storia sapientemente narrata, il film ha alcune qualità straordinarie: i bambini sono bravissimi e capaci di far vivere profondamente i loro personaggi, così come tutti gli altri attori. Il risultato, a mio parere, è superiore a quello di una normale narrazione, riuscendo in certi momenti a toccare concretamente il periodo rappresentato, quasi mettendolo in scena realmente, facendolo calare nel racconto filmico con la potenza della evocazione - come nell'antico teatro rituale. Ho l'impressione che la troupe sia stata colpita e commossa, durante la lavorazione, da questa dimensione magica, da questa concretizzazione dell'invisibile spirito degli accadimenti di quegli anni. La cosa straordinaria è che tutto ciò viene compiuto senza grandi mezzi tecnici, senza ricostruzioni storiche particolari, ma raccontando soprattutto una storia semplice, piccola, privata, familiare.

martedì, febbraio 17, 2009

Dogville


Grace è la figlia di un potente gangster – parliamo dell’America negli anni 20 – che, non sopportando più un certo tipo di mondo, di potere, di violenza, fugge. Approda a Dogville, città di provincia, dove la gente si nutre di un “sano” perbenismo. Apparentemente Grace ha trovato quello che cercava: una vita semplice, buoni sentimenti, la possibilità di farsi apprezzare per le sue doti di lavoratrice, per la sua intelligenza, per la capacità di prestare aiuto. I rapporti con gli altri sono genuini e sinceri: la fiducia, l’affetto, l’amore, l’amicizia, la considerazione, l’impegno, il legame con la natura, la generosità, sono immediati e diretti – e anche le manifestazioni negative di chiusura provinciale, di diffidenza, di debolezza o ignoranza, sono facilmente superabili perché, in definitiva, le persone appaiono buone e schiette. Questa, almeno, la prima impressione che Grace ricava. Purtroppo dovrà subire un’amarissima disillusione: non appena gli abitanti di Dogville scopriranno che lei è ricercata e che, quindi, il nasconderla è un favore che la piccola comunità le concede a proprio rischio, Grace diverrà ricattabile, perderà ogni diritto umano, ogni rispetto, sarà sempre di più costretta in una condizione di schiavitù, e come un animale violentata e offesa – pur continuando gli abitanti a comportarsi nel rispetto delle apparenze e della loro morale perbenista, ipocrita e intollerante della diversità e dell’estraneità. Anche le persone più vicine, che sembravano nutrire sinceri sentimenti di amore e amicizia, si rivelano spietati aguzzini e persecutori, pronti a manifestare – sempre dietro la brutale maschera moralista – il peggio di sé. L’epilogo è drammatico e sconcertante: Grace, scampando alla sua inimmaginabile prigionia, ritrovato il rapporto con il padre e ridiventata la figlia del gangster; recuperati i suoi poteri e accantonata ogni misericordia (pur presente nel suo nome), punirà con ferocia Dogville – uccidendo e distruggendo senza alcuna pietà, portando a compimento una severa opera di vendetta e, in qualche modo, di giustizia. Come spettatori si accoglie con sollievo e partecipazione il riscatto di Grace, sia pure operato con l’estrema violenza di chi è stata vittima di indicibili torti; ma si rimane con l’amaro in bocca, perché ogni buon sentimento, quelli di noi spettatori insieme a quelli dai quali era motivata la stessa Grace, ogni trasporto ideale, ogni proposito d’amore e di perdono, è naufragato sulla dura realtà di una natura umana ipocrita, corrotta e malvagia, rispetto alla quale la decisione della punizione estrema e dello sterminio totale appare come l’unica soluzione soddisfacente. Grace sembrava, all’inizio della storia, credere che le proprie buone intenzioni, la compassione, la gentilezza, fossero il bene, qualcosa in grado di liberarla dalla violenta mentalità paterna, ma ora si ricrede: forse queste qualità rappresentavano soltanto una sua cieca arroganza e incoscienza, e la vera umiltà sta nel vedere con chiarezza il male del mondo, combattendolo e punendolo fino in fondo, con l’assenza di scrupoli di un gangster o di un ufficiale nazista. Questo film è certamente un raffinato esercizio intellettuale – come anche testimoniato dalle scenografie “teatrali” e inesistenti, solamente tracciate al suolo e indicate con linee e scritte – ed è una provocazione per farci riflettere sul problema etico, sull’ipocrisia, sulla vendetta “legittima”, sulla giustizia, finanche sulla guerra, la pena di morte e via dicendo. Personalmente non ritengo che questi temi possano essere risolti una volta per tutte con uno schema o con un tracciato analogo a quello delle anzidette scenografie, perché solo se ci limitiamo alla teoria allora siamo tutti d’accordo e il giudizio può essere pronunciato una volta per tutte: si, siamo tutti contro il male e vogliamo proteggere e favorire il bene. Però, nella vita concreta, mi sembra che ogni volta e per ogni singolo caso valga la pena di interrogarsi per cercare la giusta strada – è proprio per questo che nei tribunali ci sono (o ci dovrebbero essere) dei giudici che valutano e applicano la legge secondo coscienza, conoscenza e saggezza, altrimenti la norma potrebbe tranquillamente essere attuata da una macchina con inserito un elenco di ciò che è bene e di ciò che è male, dei premi e delle punizioni. Per ciò che più propriamente riguarda il racconto del film mi chiedo: qual è la responsabilità di Grace in tutto ciò? Il suo idealistico comportamento iniziale era forse sbagliato? La fuga dal mondo della criminalità organizzata, dall’eredità e dall’insegnamento paterni era un errore? Secondo me no, non era sbagliato lo slancio ideale, ma avrebbe dovuto essere supportato da una maggiore chiarezza nel comprendere le persone e le situazioni: non vale essere ingenui e disponibili verso gli ipocriti. Una smaliziata visione del lato negativo sottostante, quello dietro la maschera delle persone, avrebbe forse potuto evitare le logiche e devastanti conclusioni, come anche il massacro finale. Nel Vangelo c’è scritto che bisognerebbe essere puri come colombe e astuti come serpenti. In questo modo, affrontata con la necessaria circospezione e con saggezza, forse perfino una Dogville potrebbe mutarsi in una… God will.