lunedì, gennaio 09, 2006

Danny the dog.


Questo film potrebbe, ad un primo livello di analisi, il più semplice e riduttivo, interpretarsi secondo il suo tema edipico di fondo: il conflitto con la figura paterna negativa, quella che impedisce lo sviluppo. Tale figura è incarnata dallo ‘zio’ Bart, gangster che tiene Danny fermo allo stadio animale-infantile, utilizzandolo soltanto come killer esperto di arti marziali – cioè solo per la sua potenzialità aggressiva, come fosse un pit-bull. Danny ha nozioni e sviluppo conoscitivo più che rudimentali, limitandosi all’accettazione di quanto gli viene ordinato e all’osservazione attonita di un abbecedario per bambini. D’altra parte quello infantile è lo stadio dello sviluppo psichico cui è relegato dal padre-padrone, che ne accentua in tal modo la dipendenza e la totale subordinazione. Il suo riscatto comincia dall’incontro con Sam, il personaggio interpretato da Morgan Freeman, un non-vedente che ripara pianoforti e che incarna l’altra valenza della figura paterna: quella che incoraggia e sostiene, il maestro spirituale, il vecchio saggio, cieco perché ha sperimentato il dolore e – elaborandolo con saggezza e profonda comprensione – è in grado di vedere oltre, nell’animo. Anche la figura femminile – qui rappresentata dalla figlia adottiva di Morgan Freeman, Victoria (!) - esce gradualmente dall’anonimato, dall’oggettualità cui la relega lo zio Bart, e si rivela portatrice di personalità, affetti, sensibilità, spirito artistico, evoluzione. Gradualmente, anzi, viene ad identificarsi sempre di più con la musica, con il pianoforte, con l’Anima, risvegliando in Danny il ricordo di sua madre la cui figura, ormai inutilmente, lo zio Bart – dopo averla uccisa molti anni prima – ha cercato di cancellare dalla mente di Danny bambino, e poi di svilire. Danny, guidato dal ‘vecchio saggio’ Sam e riappropriandosi del femminile nei suoi aspetti di sposa e di madre, trova in sé decisione, indipendenza, e sconfigge definitivamente il padre-autoritario, non tanto con la violenza e con l’uccisione (strumenti del maschile negativo), quanto con la decisione, la visione, l’affrancamento. Il complesso edipico, dunque, è ben delineato nel film – l’uccisione del padre e la conquista della madre – ma ad un livello di cultura superiore, dove la sconfitta del padre castrante avviene non per una mera contrapposizione sullo stesso piano del potere aggressivo, bensì mediante l’evoluzione della coscienza, della sensibilità dell’individuo e della sua autonomia.

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