martedì, novembre 02, 2010

Agorà



A me è piaciuto molto, anche se si potrebbe obiettare che al dilagante fanatismo religioso del IV secolo d.C., epoca in cui le antiche divinità soccombono al sopravveniente cristianesimo, il film contrappone soltanto la ricerca logica, razionale e scientifica di Ipazia, donna filosofo, onesta e lungimirante ricercatrice sia dei misteri astronomici che dell'animo umano. Intendo dire che al fanatismo si sarebbe potuto contrapporre molto altro, per esempio una diversa concezione spirituale, mentre l'opposizione descritta nel film sembra si riduca a quella consueta fra fede e ragione, fra oscurantismo e illuminismo. Nel suo "Iside Svelata" la signora H. P. Blavatsky indica Ipazia non tanto come una scienziata "moderna" ante-litteram, quanto come una conoscitrice di antiche dottrine, di una saggezza misterica e tradizionale già in parte dimenticata nella sua epoca. In ogni caso, sia essa stata una scienziata secondo l'accezione attuale oppure un'iniziata ad antichi misteri, Ipazia fu un personaggio estremamente scomodo per il cristianesimo di allora, che non poteva tollerare né la supremazia intellettuale di una donna né conoscenze che andassero oltre quelle contenute nell'angusta dottrina propagandata. Il film riesce ad essere, secondo il mio parere, molto efficace, a tratti commovente - nel senso che colpisce profondamente, perché sia pure in un'ottica un pò riduttiva il personaggio di Ipazia è trattato splendidamente e riesce davvero a rappresentare una creatura alata, libera, fuori dalla sua stessa epoca, in contatto con una spiritualità alta, aperta, tesa verso il mistero e l'ampiezza della vita. Lo sforzo del regista, Alejandro Amenabàr, e di tutti gli autori e attori sembra volto alla ricostruzione dell'anima di un'epoca antica e, al contempo, attuale, nella quale possiamo specchiarci e vedere molte delle nostre attuali contraddizioni - divisi come siamo fra mille trascinanti violenze collettive. Confidiamo che per noi, come successe allora, non debba spegnersi la fiaccola della conoscenza, della indipendenza interiore e dello spirito di ricerca - soli elementi in grado di indicarci il cammino e guidarci verso un più armonioso futuro.

lunedì, settembre 13, 2010

Lourdes


Film molto interessante incentrato sulla famosa meta di pellegrinaggio dei Pirenei, luogo in cui l'evento dell'apparizione della "Signora" a Bernadette - avvenuta nel XIX secolo - si è enormemente sviluppato e trasformato in un potente annuncio di speranza e di guarigione dell'anima e, possibilmente, anche del corpo. Lo sguardo della regista austriaca, Jessica Hausner, è particolarmente acuto su tutta la tematica dei viaggi della speranza, sull'industria della fede, sul confronto con il miracolo, con il divino, sulla Sua presenza confortante o sulla Sua disperante assenza negli eventi dolorosi della vita. Ogni sfaccettatura psicologica di questo tipo di religiosità è esaminata con cura, chiarezza, profondità, ironia, compreso il dubbio, lo scetticismo dei "credenti" stessi, come pure la ragionevolezza e l'umanità del sacerdote che guida il pellegrinaggio di questa storia. La regista è presumibilmente atea, o perlomeno agnostica, e un'associazione che si richiama a questo tipo di visione le ha conferito un premio; però il film piace anche ai cattolici, che l'hanno apprezzato premiandolo anch'essi! Ciò è probabilmente dovuto al fatto che si tratta di un'opera misurata, che descrive senza giudicare e, perciò, non entra in polemica. Si osservano la generosità, la fede, la paura, l'assenza di fede, la non comprensione del dolore, la sua comprensione e accettazione, insomma tutto; in breve, viene descritto l'uomo reale con la sua umanità di fronte al bisogno di sacro, di conforto, di mistero, di guarigione. C'è poi la protagonista, Christine, che affetta da sclerosi a placche e quasi completamente paralizzata, si reca a Lourdes per viaggiare, a scopo turistico, per "muoversi", perché nelle sue condizioni solo in questo tipo di viaggi viene condotta e assistita adeguatamente - anche se preferirebbe i viaggi con risvolti "culturali" come quello precedentemente effettuato a Roma. Sentendo i racconti delle guarigioni un pò ci spera anche lei, e viene perfino visitata da un sogno terapeutico - proprio come negli antichi santuari sacri ad Asclepio; però non ha un particolare slancio di fede, piuttosto ha uno sguardo attento e disincantato, anche autocosciente e autocritico, molto simile a quello della regista stessa! Eppure proprio a lei capita l'impossibile, l'inaspettato: un pò dopo le abluzioni di acqua miracolosa, gradualmente, prima muove le dita, le mani, poi si alza dal letto e cammina. Pare quasi che i pellegrini e i volontari siano inizialmente allibiti, perfino intimoriti da questa manifestazione palese della loro fede. Le reazioni, comunque, sono molteplici e vengono descritti diversi spaccati di umanità di fronte all'evento misterico, come prima di fronte all'aspettativa di esso: incredulità, sconcerto, invidia, conferma, smarrimento... e su tutto una domanda: perchè a lei e non ad un'altra persona, qual è il fattore scatenante o il motivo della "preferenza" di Dio? Christine intanto ritrova la vita, forse ha un futuro, perfino un amore, muove i suoi "primi" passi in una nuova esistenza - ma anche ora senza un particolare afflato mistico, piuttosto con la felicità della riscoperta di sé stessa, del suo corpo, della vita "normale". La Medicina avverte che la sclerosi a placche può manifestare delle apparenti quanto temporanee e inconsistenti remissioni, tuttavia il medico che esamina Christine ritiene che in questo caso vi sia qualcosa di straordinario. Alla fine del film, dopo essere stata riconosciuta e festeggiata, in seguito ad un piccolo segnale negativo tutto viene rimesso in discussione - il dubbio si insinua nella mente di tutti. La malattia tornerà? Se ciò accadesse davvero, si chiedono, come può Dio permettere una tale crudeltà, prima offrendo una speranza e poi negandola nuovamente? Rimane l'incertezza: a Lourdes siamo di fronte a qualcosa di inspiegabile, di sacro, oppure si tratta di una colossale e, forse, crudele illusione? Christine riesamina in un istante tutta la questione, e sembra disposta ad accettare, con la saggezza della sua semplicità, anche l'eventuale regressione.

martedì, luglio 28, 2009

Il bambino con il pigiama a righe


Siamo abituati, direi quasi assuefatti, ai film sul nazismo - e questo di cui scrivo ne è l'ennesima versione. Tuttavia, secondo me, ha delle caratteristiche diverse dal solito e particolari. Si tratta di un racconto delle atrocità commesse, della folle ideologia dell'uomo contro l'uomo, del considerare gli altri meno che persone, visto attraverso gli occhi di due bambini. Uno, il protagonista, Bruno, è il figlio di un ufficiale che va a dirigere un campo di sterminio. L'altro bambino, Shmuel, è una delle non-persone rinchiusa nel campo stesso. Nessuno dei due comprende pienamente quello che sta succedendo ma, al di là del principio di astrazione che porta gli adulti a considerare gli altri come "il nemico", fra di loro nasce e si consolida un'amicizia clandestina, al di qua e al di là del filo spinato. Tale amicizia condurrà gradualmente ad un epilogo tragico, monito e insegnamento per tutti quanti amino ragionare per categorie dividendo fra "buoni" e "cattivi", "superiori" e "inferiori". Devo dire comunque che, oltre alla storia sapientemente narrata, il film ha alcune qualità straordinarie: i bambini sono bravissimi e capaci di far vivere profondamente i loro personaggi, così come tutti gli altri attori. Il risultato, a mio parere, è superiore a quello di una normale narrazione, riuscendo in certi momenti a toccare concretamente il periodo rappresentato, quasi mettendolo in scena realmente, facendolo calare nel racconto filmico con la potenza della evocazione - come nell'antico teatro rituale. Ho l'impressione che la troupe sia stata colpita e commossa, durante la lavorazione, da questa dimensione magica, da questa concretizzazione dell'invisibile spirito degli accadimenti di quegli anni. La cosa straordinaria è che tutto ciò viene compiuto senza grandi mezzi tecnici, senza ricostruzioni storiche particolari, ma raccontando soprattutto una storia semplice, piccola, privata, familiare.

martedì, febbraio 17, 2009

Dogville


Grace è la figlia di un potente gangster – parliamo dell’America negli anni 20 – che, non sopportando più un certo tipo di mondo, di potere, di violenza, fugge. Approda a Dogville, città di provincia, dove la gente si nutre di un “sano” perbenismo. Apparentemente Grace ha trovato quello che cercava: una vita semplice, buoni sentimenti, la possibilità di farsi apprezzare per le sue doti di lavoratrice, per la sua intelligenza, per la capacità di prestare aiuto. I rapporti con gli altri sono genuini e sinceri: la fiducia, l’affetto, l’amore, l’amicizia, la considerazione, l’impegno, il legame con la natura, la generosità, sono immediati e diretti – e anche le manifestazioni negative di chiusura provinciale, di diffidenza, di debolezza o ignoranza, sono facilmente superabili perché, in definitiva, le persone appaiono buone e schiette. Questa, almeno, la prima impressione che Grace ricava. Purtroppo dovrà subire un’amarissima disillusione: non appena gli abitanti di Dogville scopriranno che lei è ricercata e che, quindi, il nasconderla è un favore che la piccola comunità le concede a proprio rischio, Grace diverrà ricattabile, perderà ogni diritto umano, ogni rispetto, sarà sempre di più costretta in una condizione di schiavitù, e come un animale violentata e offesa – pur continuando gli abitanti a comportarsi nel rispetto delle apparenze e della loro morale perbenista, ipocrita e intollerante della diversità e dell’estraneità. Anche le persone più vicine, che sembravano nutrire sinceri sentimenti di amore e amicizia, si rivelano spietati aguzzini e persecutori, pronti a manifestare – sempre dietro la brutale maschera moralista – il peggio di sé. L’epilogo è drammatico e sconcertante: Grace, scampando alla sua inimmaginabile prigionia, ritrovato il rapporto con il padre e ridiventata la figlia del gangster; recuperati i suoi poteri e accantonata ogni misericordia (pur presente nel suo nome), punirà con ferocia Dogville – uccidendo e distruggendo senza alcuna pietà, portando a compimento una severa opera di vendetta e, in qualche modo, di giustizia. Come spettatori si accoglie con sollievo e partecipazione il riscatto di Grace, sia pure operato con l’estrema violenza di chi è stata vittima di indicibili torti; ma si rimane con l’amaro in bocca, perché ogni buon sentimento, quelli di noi spettatori insieme a quelli dai quali era motivata la stessa Grace, ogni trasporto ideale, ogni proposito d’amore e di perdono, è naufragato sulla dura realtà di una natura umana ipocrita, corrotta e malvagia, rispetto alla quale la decisione della punizione estrema e dello sterminio totale appare come l’unica soluzione soddisfacente. Grace sembrava, all’inizio della storia, credere che le proprie buone intenzioni, la compassione, la gentilezza, fossero il bene, qualcosa in grado di liberarla dalla violenta mentalità paterna, ma ora si ricrede: forse queste qualità rappresentavano soltanto una sua cieca arroganza e incoscienza, e la vera umiltà sta nel vedere con chiarezza il male del mondo, combattendolo e punendolo fino in fondo, con l’assenza di scrupoli di un gangster o di un ufficiale nazista. Questo film è certamente un raffinato esercizio intellettuale – come anche testimoniato dalle scenografie “teatrali” e inesistenti, solamente tracciate al suolo e indicate con linee e scritte – ed è una provocazione per farci riflettere sul problema etico, sull’ipocrisia, sulla vendetta “legittima”, sulla giustizia, finanche sulla guerra, la pena di morte e via dicendo. Personalmente non ritengo che questi temi possano essere risolti una volta per tutte con uno schema o con un tracciato analogo a quello delle anzidette scenografie, perché solo se ci limitiamo alla teoria allora siamo tutti d’accordo e il giudizio può essere pronunciato una volta per tutte: si, siamo tutti contro il male e vogliamo proteggere e favorire il bene. Però, nella vita concreta, mi sembra che ogni volta e per ogni singolo caso valga la pena di interrogarsi per cercare la giusta strada – è proprio per questo che nei tribunali ci sono (o ci dovrebbero essere) dei giudici che valutano e applicano la legge secondo coscienza, conoscenza e saggezza, altrimenti la norma potrebbe tranquillamente essere attuata da una macchina con inserito un elenco di ciò che è bene e di ciò che è male, dei premi e delle punizioni. Per ciò che più propriamente riguarda il racconto del film mi chiedo: qual è la responsabilità di Grace in tutto ciò? Il suo idealistico comportamento iniziale era forse sbagliato? La fuga dal mondo della criminalità organizzata, dall’eredità e dall’insegnamento paterni era un errore? Secondo me no, non era sbagliato lo slancio ideale, ma avrebbe dovuto essere supportato da una maggiore chiarezza nel comprendere le persone e le situazioni: non vale essere ingenui e disponibili verso gli ipocriti. Una smaliziata visione del lato negativo sottostante, quello dietro la maschera delle persone, avrebbe forse potuto evitare le logiche e devastanti conclusioni, come anche il massacro finale. Nel Vangelo c’è scritto che bisognerebbe essere puri come colombe e astuti come serpenti. In questo modo, affrontata con la necessaria circospezione e con saggezza, forse perfino una Dogville potrebbe mutarsi in una… God will.

lunedì, settembre 15, 2008

7 Km. da Gerusalemme.


Un film molto interessante e, tutto sommato, semplice e diretto nella sua tematica. La domanda che ne sta alla base sembra essere: come potrebbe l'uomo di oggi - smaliziato, immerso in una società deculturata dalla televisione e governata dalla pubblicità, dal mercato - reincontrare Gesù? Anzi, forse la domanda è: come potrebbe ritrovare una religiosità genuina, non necessariamente quella propagandata per secoli, per millenni, insomma non quella istituzionalizzata? Il Gesù del film, infatti, si presenta con gli attributi classici e le caratteristiche consuete dell'iconografia, ma egli stesso ammette che - in realtà - nessuno gli ha mai fatto un ritratto, e si presenta così soltanto per essere riconosciuto. Se si manifestasse a Calcutta, dice, dovrebbe per forza di cose adottare una forma diversa! Quindi, forse, non si tratta tanto di Gesù, quanto del divino, quello trascendente le culture e le rappresentazioni umane. Come reagisce il protagonista di questo incontro con il divino, con la riscoperta della propria religiosità, lui, uomo moderno e, guarda caso, di mestiere pubblicitario? Naturalmente non ci crede, per prima cosa seziona l'esperienza con spirito critico, razionale, scettico. Tuttavia, evidentemente, Gesù ormai si è manifestato, e la sua presenza è insopprimibile. Anche perché Alessandro, il pubblicitario, aveva già iniziato un cammino interiore di riscoperta dei valori e di sé stesso, e tutte le tappe - più o meno misteriose - riemergono nel corso del film alla coscienza del protagonista, assieme alla riflessione quasi psicanalitica sulla madre e sulla morte, sull'aldilà. Il film offre molti spunti di riflessione, alcuni veramente ironici e divertenti, come quello in cui un monaco scappa terrorizzato quando vede Gesù - colui a cui in effetti ha dedicato tutta la sua vita - comparirgli in carne ed ossa, in un'automobile, mentre gli offre un passaggio. Oppure quando Gesù si cala talmente nella nostra epoca da bere con naturalezza una Coca Cola, e il pubblicitario Alessandro intravede divertito la possibilità straordinaria di vendita del prodotto favorita da un tale testimonial! Significativi e, credo, ironici i nomi dei personaggi del racconto: Alessandro Forte, il protagonista - l'uomo, Giordano Bruni, una vittima del disinteresse e del cinismo dei propri simili, eccetera... Del resto i particolari su cui riflettere sono parecchi e certamente il film andrebbe visto più volte, magari anche leggendo il romanzo omonimo da cui è tratto. Un'ultima notazione: la critica cinematografica non è stata molto generosa. Forse il film è un pò troppo solare, assertivo e positivo, mentre la tendenza attuale del cinema italiano oscilla dal disimpegno esasperato all'impegno inteso come rappresentazione della degradazione sociale o psicologica senza possibilità di risoluzione. E' vero che forse 7 Km. da Gerusalemme potrebbe risultare un pò troppo didascalico e talvolta prevedibile nel descrivere il percorso di una conversione, però non bisogna dimenticarne la simpatica autoironia e, comunque, la bellezza e godibilità.

giovedì, novembre 22, 2007

In memoria di me.




Film intenso sull'esperienza del seminario cattolico gesuita: un giovane uomo di successo decide di cambiare vita e diventare sacerdote per trovare sé stesso, per rinnovare la sua visione della vita. In ritiro spirituale con gli altri seminaristi incontrerà diversi aspetti della sua e altrui crescita, si scontrerà col dubbio, vedrà un suo compagno abbandonare i propri tormentati propositi e ritornare nel mondo. Un altro compagno farà la stessa cosa, ma motivato dall'amore, dal desiderio di aprire, di non seguire delle verità "morte" e codificate, ma dinamiche e in rapporto con il movimento della vita. Tuttavia il racconto analizza e giustifica pienamente anche la scelta della clausura, della dedizione al ruolo sacerdotale, del silenzio e della disciplina. Si pensa, alla fine del film, al Narciso e Boccadoro di Hermann Hesse, ma non solo e non del tutto.
L'osservazione che mi viene più spontanea è la seguente: siamo proprio sicuri che la via dell'ascesi spirituale, della ricerca interiore, e quella del "mondo" o dell'impegno in esso - magari di tipo altruistico ed eticamente motivato - siano due vie differenti, separate e mai del tutto conciliabili? Siamo proprio sicuri, inoltre, che l'interiorità debba essere così difficile, così sofferente e problematica? Come praticante del Sutra del Loto e del buddismo di Nichiren Daishonin - fermo restando il rispetto per qualsiasi altro approccio alla dimensione spirituale dell'esistenza - ho l'impressione che lo scopo primario della vita umana sia la felicità per sé stessi e per gli altri, proprio a partire da questo piano di esistenza, qui ed ora. Direi anche che l'impegno quotidiano nelle proprie vicende esistenziali, nei rapporti con gli altri, con l'ambiente e la società, con il tutto, con i normali accadimenti dolorosi o piacevoli, sia in sé - se sostenuti dalla pratica interiore - una forma di ascesi, di crescita, di esercizio spirituale, di adesione al piano divino, forse la più alta. La pratica autoconoscitiva portata avanti nel mondo è il catalizzatore per trasmutare le esperienze e le difficoltà comuni in occasioni di crescita spirituale.
Il film sollecita queste ed altre riflessioni, e potrebbe essere il punto di partenza per uno stimolante dibattito.
Una curiosità interessante: gli attori si sono preparati al loro lavoro trascorrendo una settimana nel silenzio e sottoponendosi agli esercizi spirituali di S. Ignazio di Loyola, al fine di sperimentare direttamente un ritiro presso un centro cattolico di preghiera e meditazione.

mercoledì, gennaio 31, 2007

Parole d'amore (Bee Season).


Segnalo un film curioso e raro nella sua tematica, che riveste sicuramente interesse per chi ha conoscenze di Cabala e di ebraismo. La storia, in realtà, può essere letta a più livelli, il più letterale ed "esterno" dei quali è la vicenda di una crisi familiare, di un padre che - pur con le migliori intenzioni - si rivela intellettualmente accentratore e poco attento ai bisogni reali della moglie e dei figli. I livelli più "interiori" possono essere quello, diciamo, filosofico - le concettualizzazioni ebraiche della rottura dei vasi e della restaurazione (tikkun), e quello intensamente mistico ed esperienziale della bambina, la protagonista, che penetra in profondità lo spirito cabalistico delle lettere, delle parole, e comunica con la Shekinah - la Presenza divina. Un cabalista può ritrovare nel film molti spunti interpretativi. Per esempio i quattro componenti della famiglia potrebbero essere messi in relazione con i quattro piani dell'Albero della Vita: Saul, il padre (Richard Gere) ben si adatta all'accostamento con il piano briahtico della mente; Miriam, la madre (Juliette Binoche) cerca disperatamente la ricomposizione della rottura dei vasi sul piano yetzirahtico del sentimento; Aaron, il figlio, cerca anche lui Dio attraverso percorsi alternativi e in contrapposizione con il padre, e può ben associarsi al piano assiahnico della sperimentazione, dell'esperienza concreta; infine Eliza, la più meditativa, sinceramente aperta all'Ulteriore, è in relazione con Atziluth, la Coscienza, il Mondo Archetipico. Eliza compie alla fine del racconto cinematografico l'unico atto che può ricomporre realmente ciò che si sta disgregando: un atto di profonda umiltà, di Amore, di sacrificio di sé, rinunciando ad una vittoria esteriore e superficiale per una più sostanziale. Sempre in senso cabalistico si potrebbero analizzare i nomi dei personaggi, dei luoghi, e alcuni altri particolari importanti - come la sostituzione finale di una "I" con una "Y" per trovare la reintegrazione, però mi fermo qui per lasciare il piacere della scoperta e dell'eventuale speculazione interpretativa a chi il film intende vederlo...